
Il primo modo che un bambino usa per comunicare è il pianto. Fin dalla nascita interagisce così con il mondo che lo circonda. Se osserviamo il pianto di un neonato, infatti, non è sempre uguale. Cambia il timbro, cambia il modo, se cambiano le necessità. Un bambino, può piangere perché ha fame, perché ha sete, perché ha sonno. Oppure perché ha bisogno di contatto. Sta alla mamma, ai genitori, a chi se ne occupa, capirne il perché.
Crescendo, interagisce sempre più e di solito intorno ai sei mesi, inizia a produrre le sue prime lallazioni (lallalla – babbabba). Esse diventano sempre più articolate (ma-mma-mma / pa-ppa-ppa) e se all’inizio vengono prodotte in modo non intenzionale, verranno poi pronunciate con intenzione. Il bambino può anche iniziare a comunicare con i gesti, metodo che verrà abbandonato con l’avvento delle prime parole.
Gli studi negli anni hanno creato varie tappe sullo sviluppo del linguaggio dei bambini. Esse però sono molto generiche. In realtà, io credo non esista una vera regola valida per tutti. E un bambino che non rientra esattamente nei tempi dettati dagli studi, non è detto che abbia o che avrà delle difficoltà. Ogni bambino, infatti, ha i suoi tempi e i suoi modi di apprendimento! Certo non mi riferisco a bambini già più grandi, ma a quelli più piccolini.
Entrambi i miei figli non hanno iniziato a parlare presto. Francesco fino ai due anni e mezzo circa utilizzava pochissime parole e spesso indicava con i gesti. Crescendo, ha iniziato ad ampliare il suo vocabolario ma, alcune letterine le ha corrette da solo piano piano nel tempo.
Penso sia giusto per un genitore, che noti che il figlio già più grande abbia qualche difficoltà, ricorrere ad un aiuto esterno e professionale, così da correggere tutto tempestivamente, con i giusti metodi e con le giuste competenze. Ma far pressione ad un bambino ancora piccolo è secondo me sbagliatissimo. Se ogni bambino ha i suoi tempi, non è giusto “mettergli fretta” e allo stesso tempo riempirlo di ansie inutili! Imparerà!
Se vogliamo indirizzarlo, potremmo farlo parlandogli o leggendogli le fiabe, ad esempio. Quest’ultime servono tantissimo sia per lo sviluppo della concentrazione e sia per lo sviluppo del linguaggio. Potremmo poi proporgli di raccontarci la storia da solo, oppure potremmo descrivere insieme una giornata appena trascorsa…
Ci sono bambini che a due anni hanno già un ricco vocabolario e parlano benissimo, altri molto meno. Giulio ha parlottato fin da piccolino imitando il fratello, emettendo suoni come “tiche tiche”. Conosco molti bambini che hanno la sua stessa età e che si esprimono in modo simile. Lui non ha mai indicato, ha un linguaggio tutto suo. Ma noto, che aggiunge nel tempo qualche parolina nuova di vero significato. E le parole ultimamente sono davvero aumentate. Io al momento non mi preoccupo. Osservo i suoi progressi.
Non serve a nulla fare paragoni fra i bambini. Non esiste un bambino uguale ad un altro. Non esistono tappe fisse, ma solo orientative, poi ogni bambino è a se. C’è chi raggiunge prima una tappa, chi prima un’altra… L’importante è arrivare!
Perciò mamme, non affannatevi se il bambino della vostra amica parla e il vostro bambino ancora no. Non fate paragoni! E a chi li fa, dite che è sbagliato! Capirete se il vostro bambino avrà bisogno, ma per il momento dategli “il tempo” !
Dategli il “suo” tempo! Quello che serve ad ogni bambino, essere unico e irripetibile! E siate fiduciose. Ricordate sempre che, genitori sereni sono lo specchio di altrettanti bambini sereni e tranquilli.
Crescere e imparare non è una gara a chi arriva prima e a chi è il più bravo nel farlo!
È la magnifica avventura di ogni singolo bambino che, deve essere accompagnato e sostenuto, stimolato nei giusti modi, ma sempre rispettato nei suoi tempi!